di Giuseppe Traina
in Giuseppe Micieli, opuscolo sulla mostra, Art Club - Vittoria 1973
La non breve milizia artistica di Giuseppe Micieli può forse essere racchiusa (spesso ci viene chiesta "la parola che squadri da ogni lato / I'animo nostro informe, e a lettere di fuoco / lo dichiari...") in una recherche che non è solo di forme e di modi, ma essenzialmente - proprio in senso proustiano - del tempo perduto.
Torna, infatti, con una certa insistenza nello scultore comisano il tema di un paradiso perduto, di un'infanzia favolosa: le "cave", i pastori, il suonatore di cornamusa. Per chi conosca la vicenda privata dell'artista tutti questi sono precisi riferimenti biografici ad un momento del suo passato, di quello meno prossimo.
Micieli si porta addosso, come una febbre, questo modo che solo superficialmente potrà apparire arcadico, ma che invece appartiene alla sua sostanza più profonda: lì sono le sue radici, in questa realtà è maturata la sua sensibilità prima, ad essa torna l'uomo maturo deluso dal mondo degli uomini. Intendiamoci: Micieli non rifiuta affatto l'impegno sulla realtà, non evade; egli ricerca l'essenza dell'uomo nella sua più genuina dimensione, la naturalità, che non può non presentarglisi - storicizzata - attraverso la memoria di momenti, figure, paesaggi che egli ha vissuto come autentici e veri ( o erano più autentici e veri gli occhi con i quali li guardava?).
In questa stessa prospettiva va inquadrata quella "provincialità" della quale gli è anche accaduto di parlare, come rifiuto (non tanto ideologico. quanta piuttosto istintivo) delle strutture alienanti e mistificanti della città. Naturalmente una scelta siffatta, se gli giova sul piano dell'interiorità e del raccoglimento, egli la paga su un terreno più concreto, che non è solo banalmente "il successo", ma il riscontro oggettivo della validità del suo lavoro, che oggi avviene anche in termini di mercato e di circolazione dell'opera. Ma qui tocchiamo un problema più generale, che richiede a tutti noi, e con ciò chiudiamo la parentesi, un più assiduo impegno a creare anche in provincia uno spazio adeguato per l’arte ed in particolare per gli artisti che vi risiedono.
Muta la ricerca formale dell'artista, l'inquieta meditazione di forme nuove, la suggestione di mezzi espressivi diversi: ciò che resta fermo è l'aggancio a certi valori che Micieli sente dominanti. Ogni fase del suo cammino ha un suo fascino particolare: la preziosa elaborazione dei nudi meno recenti, dagli esiti felicissimi, incantevoli; la più ardita stilizzazione del periodo di mezzo, dagli elementi compatti e dai volumi rigorosi; la dovizia decorativa delle ultime composizioni, nelle quali il discorso si allarga a temi di più vasto impegno. A sé sta la breve, intensa stagione dei disegni (attorno al '71), in cui Micieli ha come bruciato una sua angoscia segreta, che ha trovato forme sgomente di sterpi, grovigli inestricabili di natura deforme (eppure quasi più intensamente umana e comunicante di una figura), per venir fuori, facendosi segno e linguaggio pregnante come raramente ci è accaduto di riscontrare altrove.
Non certo in questa suite venuta fuori d'impeto troverà conferma e legittimazione, ammesso che lo possa altrove, l'idea di un Micieli arcade, disancorato dai nessi angoscianti dell'esistere. Qui, in una sorta di rivolta sofferta, la natura altrove accarezzata e rimpianta ci si presenta come violenza, cieca rabbia, doloroso intrico. E’ un Micieli inedito che insegue forme imprevedibili. Dichiara che si tratta di suggestioni fissate sulla carta per future sculture, che però tarda a realizzare: sarà la nuova risolutiva fase del suo operare?
(in Giuseppe Micieli, opuscolo sulla mostra, Art Club - Vittoria 1973)