di Renato Civello
dal catalogo della Mostra “ G. Micieli – B. Brancato” del 1961 alla Galleria d’arte “ La Marguttiana” Ragusa
Presentare qui a Ragusa il pittore Biagio Brancato e lo
scultore Giuseppe Micieli sarebbe in realtà superfluo: troppo noto è il loro
“stile” creativo – ormai da un pezzo su scala nazionale – perché se ne debba
dare informazione e ragguaglio critico proprio nell'ambiente che li apprezza e
li ama e li ha visti impegnati in generose battaglie artistiche, a tu per tu
con la riluttanza della materia e talvolta con la disinvolta pontificante
incomprensione di alcuni. Adesso tutti coloro che hanno il pur minimo
allenamento in fatto d’arte intendono o intuiscono il senso perspicuo di una
esperienza problematicamente bilanciata fra tradizione e avanguardia.
Un punto d’incontro tra i due artisti è senz'altro in questo
disincantato convergere dei canoni estetici verso una medietà validissima, la
più lontana dal compromesso, risultante com'è da un ridimensionamento in chiave
moderna dei più felici elementi del filone ottocentesco; e, quel che più conta,
estranea, pur senza disavvertire le sollecitazioni spirituali del nostro tempo,
alle fastidiose fallimentari etichette che sono del tutto estrinseche al
linguaggio plastico o pittorico.
[…] Giuseppe Micieli, da parte sua, con questa antologia di
sculture che segnano le tappe del suo unitario svolgersi dal Pescatorello del ’46 alla Cornamusa del ’55 all’Attesa del ’57 al Cavaliere del ’60 alla recentissima Madre e figlio, testimonia di avere operato nella zona
problematicamente più attiva della scultura contemporanea.
I limiti di una presentazione non permettono un discorso
storico-estetico su divenire della sua personalità, sul pensoso assiduo
costruirsi di un’arte confortata peraltro dai più lusinghieri riconoscimenti,
culminati nell’attribuzione del Premio Gemito 1957. Di fronte all’ormai
scontata inattualità simbologica o totemistica o pseudo-informale di tanta
scultura contemporanea, per la quale appunto il ripudio dei nessi allusivi è
idolatria del più formale casualismo (e Greco e Mascherini non riescono a
ricomporre ancora quel che hanno scomposto un Mirko o un Consagra o un Lardera
o i “relazionali” svizzeri, da Linck a Rehmann) queste statue di Micieli danno
la garanzia di una plausibile certezza ideale: col loro comporsi e raccogliersi
col loro espandersi, oltre la medusea immobilità del cemento in uno spazio lucidamente
surreale, si propongono, contro le alchimistiche evasioni dei volumi, quale
immediato valore esistenziale, quale scoperta operazione materica. E’ una
materia corposa in cui si intuisce però, come sua peculiare qualità, tutta una
condizione psicologica ed etica; un clima artistico percorso ansiosamente dalle
vie del conoscere, che valgono le vie del sentire; o sono tutto uno con esse.
Micieli ha tentato di risolvere in maniera radicale due
esigenze apparentemente antagonistiche: la necessità di una concentrazione
della massa in una ferma plastica essenziale, liberata da ogni intenzione
aneddotica e da ogni addentellato pittoresco, e l’amplificazione del concetto
di statuaria – ritorno e superamento – dai moduli umanistici ad un primordiale
pregnante espressionismo. Penso vi sia riuscito egregiamente. I suoi nudi
femminili indicano un modellamento a un tempo stesso robusto e delicato; e la
sua intimità di accento gli serve per superare meglio la elementarità dei
volumi. Si tratta di impostazioni inedite, per le quali la capacità inventiva
si è svolta esclusivamente sullo schema cardinale della forma e che, attraverso
l’equilibrio sensuale, attingono la vitalità di una stagione colma, la
succosità di un frutto maturo. Nelle opere più recenti, come nel Cavaliere (mi
ricorda l’Urano di Pablo Gargallo, ma diversa è in Micieli l’intersecazione dei
piani e la medievale intensità nel ritmo dei vuoti e dei pieni), o nelle figure
impreziosite dalla foglia aurea, lo scultore si è impegnato a fondo,
giungendovi per le graduali risultanze dell’intera sua esperienza plastica,
nella sintesi massa-natura; e oltre la pura visibilità geometrizzante ha
evocato luminosi fervori patetici.